Articolo a cura della Dott.ssa Chiara Rainieri
Psicologa e Psicoterapeuta
“L’ho conosciuto tipo nel 2015 [..] da allora nei miei timpani ne porto i sibili,ogni giorno è come fossi di ritorno da uno show degli AC/DC.
Larsen fischiava per la mia attenzione un po’ come si fa con i taxi.
Senza una tregua una continuazione ma come si fa a coricarsi?”
Così Michele Salvemini, in arte Caparezza, racconta nel brano “Larsen” la storia del suo acufene. Il nome della canzone non è scelto a caso. L’effetto Larsen è lo stridio, il fischio che si manifesta quando un microfono è troppo vicino o è direzionato verso il suo altoparlante. Quel suono fastidioso che è capitato di sentire a tutti, spesso seguito da un’espressione facciale di fastidio e un automatico gesto di tapparsi le orecchie, come a proteggerle. Le parole del cantante rendono vividamente l’esperienza della sindrome da tinnitus ovvero il sintomo dell’acufene accompagnato a sintomi emotivi e comportamentali invalidanti.
Citati nel testo musicale troviamo:
- Difficoltà di concentrazione, in quanto l’attenzione è completamente rivolta a quel fastidioso suono;
- Stanchezza correlata ad un disequilibrio nel ritmo sonno-veglia per difficoltà nella fase di addormentamento, risvegli precoci e sonno non ristoratore. Spesso i pazienti riferiscono che l’intensità dell’acufene aumenti nelle ore serali/notturne. É importante sottolineare che sovente la diminuzione o l’aumento della percezione dell’acufene sono correlate al rumore ambientale e cioè ai suoni presenti nell’ambiente in cui viviamo, come il ticchettio dell’orologio, il ronzio degli elettrodomestici, il rumore dei mezzi di trasporto, i suoni della natura, le voci delle persone, ecc. Questi suoni legati alle attività dell’uomo e al ritmo della natura diminuiscono drasticamente con il calare della sera, riducendo quindi il loro effetto di mascheramento sull’acufene;
- Ansia ed evitamento. Chi soffre di acufene utilizza inconsciamente una serie di meccanismi per “proteggersi” dal sintomo. Uno di questi è l’evitamento dell’esperienza che può tradursi in isolamento sociale, fare di tutto per non stare in silenzio o posticipare il più possibile il momento del sonno. Sebbene l’evitamento dell’esperienza possa produrre sollievo nell’immediato, nel lungo periodo impatta fortemente nella qualità della vita della persona producendo un effetto paradossale: aumenta l’ansia e il livello di stress.
“Uno squillo ossessivo come un pugno sul clacson.
Primo pensiero al mattino.
Non potevo ascoltare la musica come l’ascoltavo prima, una pressione continua, la depressione poi l’ira. Il suono del silenzio a me manca!”
- Rimuginio. L’acufene spesso diventa un pensiero intrusivo e ripetitivo nella quotidianità di chi ne soffre. Nei racconti delle persone emerge con frequenza la tendenza a ripensare a ciò che ha preceduto la sua insorgenza, tentando di identificarne finalmente una causa, annoverare ciò che si poteva fare e che non si è fatto (quando ad esempio l’acufene è accompagnato da trauma acustico come spesso accade a chi lavora in ambito musicale o in luoghi di lavoro in cui vi sono macchinari rumorosi) e chiedersi “perchè proprio a me?”.
- Irritazione e paura.”Non potrò più godermi il silenzio? Peggiorerà? Migliorerà?” Altre domande legittime che chi esperisce questo sintomo si pone e che involontariamente scatenano un continuo controllo del fastidioso suono. Un circolo vizioso in cui la sensazione di essere stati privati del diritto al silenzio scatena rabbia e frustazione.
“Credevano che fossi matto. Volevano portarmi dentro.
Ho visto più medici in un anno che Firenze nel Rinascimento Stress”
Con la diagnosi le cose a volte non migliorano.
Frequentemente lo specialista otorino di fronte a questo sintomo e alla necessità di disporre una rete multiprofessionale per il suo trattamento, si sente esso stesso incapace di essere utile al paziente, comunicando che “se lo deve tenere”, “ci si deve abituare” e che “c’è di peggio”. Parole pronunciate nel tentativo di supportare, ma che talvolta giugono al paziente come macigni, accompagnati dalla sensazione che la propria sofferenza e disagio non siano stati compresi, alimentando l’irritazione, la frustrazione per aver perso il controllo su una parte del proprio corpo e scatenando paura per il futuro. A tutto questo si aggiunge la difficoltà di raccontare a familiari e amici ciò che significa convivere con questo sintomo e le strategie apparentemente irrazionali che possono essere utili ad alleviarlo, come ascoltare suoni della natura. Nelle storie delle persone con acufene spesso emerge la paura di essere giudicati “pazzi” per il tormento dato da un suono che nessun altro può percepire.
É possibile evadere da un sintomo che imprigiona?
Caparezza intitola il suo album Prisoner 709 restituendo così il vissuto di prigionia condiviso da tante persone con acufene. Quel “709” nel nome dell’album rappresenta il tipo di relazione che il paziente può instaurare con il sintomo: lo zero, infatti, oltre al numero di un ipotetico prigioniero può anche essere una lettera, la O, e quindi rappresentare una possibilità di scelta. La scelta tra una parola di 7 lettere, come libertà, legata alla consapevolezza del sintomo, ad una adeguata conoscenza dei meccanismi che lo possono intensificare e dei possibili trattamenti raccomandati dalle linee guida, e una di 9 lettere, come prigionia, alimentata da meccanismi di evitamento dell’esperienza, ma anche dalle emozioni di angoscia, rabbia e paura e dai pensieri catastrofici associati a questo sintomo.
Dall’analisi della letteratura emerge infatti che il vissuto stressogeno associato all’acufene è solo parzialmente spiegabile dagli aspetti psicoacustici come l’intensità del tinnitus o la sua durata. Gli studi suggeriscono che la percezione dell’acufene e il livello di stress psico-fisico siano fortemente influenzati dal rapporto che il paziente ha con l’acufene, i pensieri disfunzionali e le emozioni negative elicitate da una condizione di cronicità. Ciò significa che tanto più il paziente considera l’acufene un handicap nello svolgimento delle attività quotidiane e qualcosa di cui ci si deve liberare prima possibile, tanto più il sintomo sarà percepito con intensità e associato a sintomi di disagio psico-fisico (come insonnia, ansia, depressione, apatia, abulia, difficoltà di concentrazione, ecc).
Il trattamento degli aspetti psicologici legati all’acufene
L’aspetto centrale del trattamento degli aspetti psicologici legati all’acufene è instaurare un processo di abituazione, cioè un processo di apprendimento caratterizzato da una progressiva riduzione dell’attenzione dall’acufene. I circuiti implicati nel mantenimento dell’acufene sono gli stessi che mediano la percezione del sentire in tutti noi, ciò che cambia nei soggetti con sindrome da tinnitus è come funzionano. Secondo il modello neurofisiologico di Jastreboff e Hazell (1993) nell’acufene soggettivo si verifica un difetto di codifica: il filtro attentivo è come se si fosse fissato su quel suono a cui il sistema emozionale continua a dare estrema importanza. Questo spiegherebbe il circolo vizioso che si crea tra il suono percepito, le emozioni negative ad esso associate (irritazione, rabbia, tristezza, paura) e l’attenzione volontaria costantemente rivolta all’acufene. Secondo gli autori sfruttando il meccanismo della plasticità neuronale è possibile rompere questa catena disfunzionale allenando il nostro cervello a imparare nuove e virtuose strade che connettono il suono dell’acufene e le reazioni emotive.
Creare un circolo virtuoso tra acufene ed emozioni necessita un lavoro sull’accettazione del sintomo e sulle emozioni di ansia e depressione che si associano ad esso.
Il termine accettazione dal latino accìpere significa ricevere, prendere, sentire ed indica l’accoglimento non giudicante di ciò che si vive (sensazioni fisiche, pensieri, emozioni). Non deve essere confuso con quello di passività, rassegnazione o pensiero positivo. L’accettazione è strettamente correlata all’evitamento in quanto consiste in un processo attivo di apertura ad un’esperienza, compresi i suoi aspetti che non possiamo controllare. Solamente accogliendoli, guardandoli, possiamo vedere l’esperienza nella sua totalità, identificando al contempo quegli aspetti su cui possiamo agire.
La letteratura indica la pratica della mindfulness uno dei pochi trattamenti ad oggi raccomandati per chi soffre di acufene. Essa consiste in un lavoro cognitivo-comportamentale sui pensieri disfunzionali, bizzarri o catastrofici che contribuiscono alla nostra sofferenza. Citando Jon Kabat-Zinn, che ha contribuito alla diffusione della mindfulness a livello internazionale, “se non potete arginare le onde, imparate il surf”.
Presso il Poliambulatorio FKTherapy di Ponte Taro di Noceto in provincia di Parma lavorano professionisti specializzati nella diagnosi e trattamento dell’acufene.
Vai al link https://www.fktherapy.it/chi-siamo se vuoi saperne di più sui nostri professionisti che si occupano di acufeni
La Dott.ssa Chiara Rainieri, Psicologa e Psicoterapeuta, si occupa del trattamento degli aspetti psicologici legati agli acufeni attraverso colloqui di consulenza, psicoterapia individuale e la pratica della mindfulness.
Chiama il 05211401934 o il 3881486095 per informazioni o per prenotare una visita.
Bibliografia
- Cima, R. F. F., Mazurek, B., Haider, H., Kikidis, D., Lapira, A., Noreña, A., & Hoare, D. J. (2019). A multidisciplinary European guideline for tinnitus: diagnostics, assessment, and treatment. Hno, 67(1), 10-42.
https://link.springer.com/content/pdf/10.1007/s00106-019-0633-7.pdf
- Cuda, D. (2004). Acufeni: diagnosi e terapia. Roma: Edizioni AOOI.
https://digidownload.libero.it/ait.onlus/acufe1.pdf
- Kabat-Zinn, J. (2011). Dovunque tu vada, ci sei già. Corbaccio.
- Jastreboff, P. J., & Hazell, J. W. (1993). A neurophysiological approach to tinnitus: clinical implications. British journal of audiology, 27(1), 7-17.
https://www.researchgate.net/profile/Pawel_Jastreboff/publication/14860363_Jastreboff_PJ_ Hazell_JWPA_neurophysiological_approach_to_tinnitus_clinical_implications_Br_J_Audiology_277-l7/links/56a9565508ae2df821652b53.pdf
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