Articola a cura della Dott.ssa Chiara Rainieri Psicologa e Psicoterapeuta

L’esperienza della pandemia ha attivato e irrigidito paure e insicurezze difficili da lasciare andare, anche quando la diminuzione delle restrizioni consentirebbe maggiore possibilità di azione.

Quando un sintomo da campanello di allarme può evolvere in una psicopatologia?

Quale relazione tra sintomi psicologici e pandemia?

L’emergenza sanitaria mondiale, nelle sue varie fasi, ha presentificato l’incontro tra l’essere umano e le sue più grandi paure: impossibilità di controllare gli eventi, impotenza, incertezza, mortalità di sé e dei propri affetti, privazione della libertà personale, distacco dalle relazioni, dalle passioni e stravolgimento dei rapporti sociali. Nell’ultimo anno e mezzo tutti questi vissuti, esperiti insieme o in momenti differenti, hanno avuto un forte impatto sul benessere psico-fisico di individui, coppie e famiglie.

La pandemia è un momento di crisi, ovvero di improvvisa perturbazione nella vita individuale e collettiva. Losi (2020) utilizza il termine trauma collettivo per riferirsi all’impatto di un’esperienza traumatica che colpisce e coinvolge interi gruppi di persone, comunità o società, siano essi esposti  direttamente o indirettamente alle conseguenze della pandemia. Ciò significa che non aver vissuto in prima persona l’esperienza del Covid, ma esserne stato “solo” spettatore di fronte a famiglie contagiate, lutti, perdite di lavoro e comunità nel caos, non ha reso una persona immune da sofferenza fisica ed emotiva.

Come il nostro organismo reagisce di fronte alla minaccia?

Di fronte ad uno stimolo che si percepisce come minaccioso o dannoso per la sopravvivenza la parte più antica del nostro cervello, detta rettiliana, attiva una reazione automatica nel tentativo di fronteggiare il pericolo.

Questa risposta è indipendente dalla nostra volontà e genera una serie di modificazioni fisiologiche (es. aumento della frequenza cardiaca, della pressione sanguigna, della respirazione, ecc) e psicologiche (Es. l’attenzione si restringe drasticamente, rivolta unicamente al fattore stressante e al controllo dell’ambiente circostante).

L’esito comportamentale può essere di “attacco” verbale o fisico, di “fuga”, di “congelamento” e assenza di reazione quasi a fingerci senza vita. Queste reazioni, evolutivamente adattive, cessano quando sparisce lo stimolo minaccioso. Allontanato il pericolo il sistema psico-fisico torna ad uno stato di quiete.

L’evento pandemia si caratterizza per la lunga durata e per l‘invisibilità dello stimolo minaccioso (non è possibile fare affidamento sulla propria capacità sensoriale per evitare di esporsi al pericolo di contagio).

Questi elementi possono ostacolare il ritorno del sistema psico-fisico ad uno stato di quiete, soprattutto se accompagnati da alcuni atteggiamenti e comportamenti che riducono o addirittura azzerano la nostra capacità di agire attivamente di fronte alle difficoltà.

Non dobbiamo dimenticare che insieme alla reazione involontaria del cervello rettiliano ognuno di noi ha una serie di strategie che può utilizzare di fronte ad un evento minaccioso. L’insieme di queste strategie è chiamato coping, dall’inglese “to cope with” = fronteggiare, reagire, resistere, gestire.

Vediamo come di fronte ad uno stesso evento possono funzionare differenti stili di coping.


La pantera paura non ne ha!

Barbara è una studentessa di lingue, ha 25 anni e vive da un anno da sola in un appartamento in centro città. Alle prime notizie sul Covid banalizza la situazione. A fine febbraio 2020 parte per un weekend per festeggiare il Carnevale in un’altra città. Qui vede alcune persone utilizzare guanti e mascherina che prontamente schernisce. Non si sottrae ai festeggiamenti, ma in alcuni momenti sente una leggera tensione all’intestino. Utilizza alcol e fumo per placarla. Parlando con un’amica si sente infastidita dal suo timore e da tutte le notizie che continuano a diffondersi sui contagi. Decide di non seguire la tv, di non comprare quotidiani e infine deciderà di eliminare tutti i social. Si sente come 15 anni fa quando si escluse dalla compagnia di amici per una incomprensione. Passa molto tempo a rievocare quell’evento, alla sofferenza passata e alla perdita delle amicizie. Pensa continuamente che le restrizioni del Covid danneggeranno irrimediabilmente le sue relazioni facendole perdere tutti gli amici. Ha molta rabbia, ma non ne parla con nessuno e quando riconosce in lei questa emozione fuma senza sosta. Vive il lockdown come una vacanza dallo studio e si concede maratone di serie tv che la portano a stare sveglia fino alle prime luci dell’alba per poi dormire durante la giornata. Ad oggi fatica a riprendere gli studi. Non ha dato esami nelle ultime tre sessioni.


Tante cose da sapere e mai le saprai tutte

Federico è un uomo di 55 anni, sposato con una figlia di 16 anni. Fa l’operaio e la sua grande passione è il nuoto che pratica una volta a settimana. Da marzo 2020 segue ogni volta che può tutti i telegiornali nazionali e, quando non è al lavoro, i programmi di approfondimento sulla pandemia. Nel lockdown ha la perenne sensazione di aver bisogno di cercare informazioni così utilizza i motori di ricerca online per recuperare materiale. Si iscrive ad alcuni social network che gli consentono di accedere ad altre informazioni online e di confrontare le sue notizie con quelle di altri utenti. Esce solo per recarsi al lavoro e appena rincasa mette a lavare ogni capo di abbigliamento indossato. Si lava così spesso da provocarsi un’irritazione alla pelle. Quando è in casa passa il suo tempo al computer o al cellulare. Recentemente ha iniziato a commentare ogni post di amici che non vogliono vaccinarsi. Questo ha provocato conflitti con la moglie. Nonostante la riapertura delle piscina si rifiuta di andare a fare nuoto per timore di contagiarsi tramite l’acqua. Proibisce anche alla figlia di andare, così come di uscire se non con due amiche di cui si fida perché conosce il pensiero dei genitori sul Covid. È preoccupato perché a settembre la figlia riprenderà la scuola e alcuni docenti e compagni potrebbero non essere vaccinati.


E tu come stai?

Beatrice ha 40 anni, è separata con un bambino di 4 anni. Nel primo lockdown la sua azienda ha chiuso per tre settimane, durante le quali ha avuto tempo per stare con suo figlio. Ogni giorno inventava una nuova attività. Ha cucinato tantissimo e si è sperimentata in piatti della tradizione casalinga che, riflettendo, non ha mai avuto tempo di fare. Ha ridipinto due camere da letto, sistemato il garage e portato in soffitta cose che ingombravano la casa. Si è iscritta ad un corso online di pilates che fa coincidere con il pisolino pomeridiano del figlio. Faceva giornalmente videochiamate ai familiari e al padre del bambino che talvolta si protraevano per ore. Ha saputo cogliere il lato positivo del Covid fino a quando l’azienda non le ha comunicato che avrebbe ripreso a lavorare in smart working. In accordo con l’ex compagno il bambino inizia a riprendere i weekend e i giorni infrasettimanali dal padre. Dopo alcune settimane Beatrice inizia a sentirsi sempre più stanca. Fatica ad addormentarsi e durante la notte si sveglia più volte. Si accorge di sgridare più spesso il figlio e di provare molta rabbia quando la chiama mille volte mentre cerca di lavorare. Nei fine settimana in cui il bambino è con il padre si chiude in casa al buio, davanti alle sue serie tv preferite. Una mattina incontra la vicina di casa. Alla domanda “E tu come stai?” crolla in un pianto incontrollabile. È spaventata da questa reazione incontenibile. La vicina le confessa che anche lei ha avuto dei momenti di crollo nelle ultime settimane e si è rivolta ad un servizio di supporto psicologico telefonico. Dopo 3 telefonate sta meglio perché ha imparato a non temere o vergognarsi delle sue emozioni, in particolare paura e rabbia. Beatrice da quel giorno davanti allo specchio si chiede “Come stai?”, nei giorni più grigi scrive quello che sente su un piccolo diario e , in caso di necessità, ha appuntato il numero del servizio di supporto psicologico.


Quali possono essere i campanelli di allarme per la salute?

Quando le strategie con cui affrontiamo un evento così complesso come la pandemia diventano rigide, si accompagnano a sofferenza individuale, di coppia o famigliare e influiscono in maniera significativa sullo svolgimento delle attività quotidiane può essere utile contattare uno specialista per un colloquio di consulenza.

Dall’inizio della pandemia ad oggi in letteratura i sintomi psicologici che sono risultati maggiormente presenti tra la popolazione italiana sono sintomi ansiosi, depressivi, alimentari e simil ossessivi. Se questi sintomi perdurano nel tempo è importante non attendere ulteriormente la loro cristallizzazione in un vero e proprio disturbo psicologico e parlarne con uno psicologo clinico.


Presso il Poliambulatorio FKTherapy di Ponte Taro di Noceto in provincia di Parma lavora la Dott.ssa Francesca Carloni, Psicologa e Psicoterapeuta, che offre consulenza, sostegno e psicoterapia individuale, di coppia e familiare.

Chiama il 05211401934 o il 3881486095 per informazioni o per prenotare una visita o un colloquio.


Bibliografia

D’Ambrosi, D., Marciano, R., Paolucci, A., Crescenzo, P., Ferrara, I., & Maiorino, A. (2020). L’impatto psicologico del Covid-19 sulla popolazione: analisi descrittiva delle problematiche psicologiche lockdown correlate Progetto: Sostegno Psicologico #iorestoacasa. Journal of Psychosocial Systems, 4(2), 1-14.

Femia, G. et al. (2020). Gli effetti psicologici della pandemia: strategie di coping e tratti di personalità. Cognitivismo clinico.17, 2, 119-135

Ferrari, G. & Martori, G. (2021). Disagio psichico, dipendenze e suicidio nella popolazione durante la pandemia da COVID-19: una revisione narrativa della letteratura. Ital Psicol Med Lav. 1(1):11-22

Losi, N. (2020). Critica del trauma. Modelli, metodi ed esperienze etnopsichiatriche. Quodlibet.